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SOSTEGNO ALL’ECONOMIA LOCALE
L’ente pubblico, soprattutto in questa fase di gravissima crisi economica deve farsi promotore di progetti finalizzati al sostegno e al rilancio dell’economia locale.
I prossimi anni saranno pesantissimi ma se cambiamo i parametri che fin qui sono stati utilizzati possiamo cambiare il nostro futuro.
Quattro semplici azioni, che ognuno di noi può attivare, sono alla base di questo processo:
- creare delle realtà economiche e sociali, dove venga adottato un nuovo modello economico, un’economia circolare, della condivisione e della consapevolezza, dove poter vivere nel rispetto dell’uomo e della natura;
- creare un percorso economico che permetta, attraverso un’economia consapevole, di mettere ognuno nelle condizioni di avere quanto necessario per salvaguardare la propria dignità;
- uscire dall’individualismo per ricostruire solidarietà e mutualità;
- sviluppare una progettualità con una visione globale e transnazionale.
Solo prendendo nelle nostre mani il nostro destino, possiamo cambiare il nostro futuro.
Dopo la pandemia nulla sarà più come prima, perché i vecchi modelli stanno andando inesorabilmente verso un declino e non sono più adeguati alle nuove esigenze.
Siamo in una fase di decadenza e crisi e, come sempre è avvenuto nella storia, la decadenza precede grandi cambiamenti.
Quale modello economico e sociale è possibile per il futuro?
Non è la sede per disegnare compiutamente un nuovo modello economico, ma sicuramente qui possiamo gettare il seme che possa creare i presupposti per lo sviluppo di un modello sociale, economico, urbanistico e politico (nel senso della polis), che si proponga il rispetto di tutti gli uomini di qualunque colore essi siano, dell’ambiente e delle culture locali.
Da dove partiamo?
Il problema della diseguaglianza crescente, conseguenza della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, si sta particolarmente acuendo a seguito della pandemia.
I dati ISTAT evidenziano che oggi in Italia ci sono 5,6 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà.
La tendenza a una crescente concentrazione della ricchezza è pericolosa perché mette a rischio il progresso umano, la coesione sociale, i diritti universali e la democrazia.
Un mondo in cui la ricchezza è concentrata in poche mani, è anche un mondo in cui il potere politico è controllato da pochi e usato da quei pochi per il proprio vantaggio.
Che cosa succede al tessuto sociale in un paese in cui una manciata di persone controlla la maggior parte della ricchezza nazionale?
Quando si arriva al punto in cui una sola persona possiede una parte enorme della ricchezza di un paese, che cosa può impedire a quella persona di imporre la propria volontà a tutta la nazione?
Implicitamente o esplicitamente i suoi desideri possono diventare legge.
La globalizzazione avrebbe dovuto condurre alla creazione di una famiglia umana globale, caratterizzata da livelli di vicinanza, armonia, e amicizia molto più elevati che in passato. Nella pratica invece, la globalizzazione ha generato anche enormi tensioni e ostilità. Mette popoli e nazioni in una posizione conflittuale: ciascuno cerca di rafforzare i propri interessi egoistici.
I postulati incorporati nella nostra teoria economica spingono le persone a cercare modi per essere i “vincitori” nella battaglia economica, il che comporta che tutti gli altri diventino dei “perdenti”. Uno dei risultati è la crescita allarmante di nazionalismo, xenofobia, sfiducia e paura.
Ora però, soprattutto in quest’ultimo periodo caratterizzato dalla pandemia, tutti abbiamo capito che i vecchi sogni dei teorici dell’economia sono stati smascherati, che non sono altro che favole. L’attuale motore del capitalismo produce più danni che soluzioni e deve essere riprogettato pezzo per pezzo, o sostituito da un motore tutto nuovo.
Il motore economico da riprogettare ha tre elementi fondamentali. Innanzitutto, dobbiamo abbracciare il concetto di business sociale, una nuova forma di impresa basata sulla virtù umana dell’altruismo.
In secondo luogo, dobbiamo sostituire il postulato che gli esseri umani siano cercatori di lavoro dipendente con il nuovo postulato che gli esseri umani sono imprenditori.
Terzo, dobbiamo riprogettare tutto il sistema finanziario perché funzioni in modo efficiente per le persone che si trovano in fondo alla scala economica.
Se siamo disposti a riesaminare i postulati alla base dell’economia neoclassica, possiamo sviluppare un nuovo sistema economico progettato per servire veramente i bisogni degli esseri umani reali, creando un mondo in cui tutte le persone abbiano la possibilità di realizzare il proprio potenziale creativo.
La nuova economia del business sociale propone un nuovo modello aziendale che non distribuisce dividendi ma è dedita alla risoluzione di problemi umani.
Dobbiamo creare fondi di business sociale che finanziano l’imprenditorialità diventando uno strumento potente per sollevare dalla povertà singoli, famiglie e intere comunità.
Una volta realizzati questi cambiamenti nel modo di pensare, ci accorgeremo di quanto sia potente il nuovo pensiero economico nell’affrontare i problemi creati dal quadro economico esistente. Possiamo utilizzare il business sociale per contrastare malanni antichi come la povertà, la fame, le malattie, il degrado ambientale e molti altri. Inoltre, possiamo creare opportunità per milioni di giovani disoccupati, che potranno applicare opportunamente i loro talenti sprecati, trattandoli come imprenditori.
La nuova generazione di oggi, centinaia di milioni di giovani in città grandi e piccole, periferie e villaggi di tutto il mondo, ha talento, energia, intelligenza, idealismo e generosità per trasformare il mondo.
Questi giovani sono in grado di creare una nuova civiltà che sfugga le ombre della povertà, della disoccupazione e del degrado ambientale. Ora dobbiamo dare vita al nuovo sistema economico che sblocchi queste forze e consenta loro di realizzare il proprio potenziale: questo è il nostro progetto per l’Aviano del Futuro un progetto per un Benessere Equo e Sostenibile.
Per troppo tempo abbiamo tollerato povertà, disoccupazione e distruzione dell’ambiente come se fossero calamità naturali che sfuggono completamente al controllo umano o, nel migliore dei casi, costi inevitabili della crescita economica. Invece non lo sono, sono fallimenti del nostro sistema economico e, poiché esso è stato creato da esseri umani, questi fallimenti possono essere corretti se scegliamo di sostituire quel sistema economico con un nuovo sistema che rispecchi più accuratamente la natura umana, i bisogni umani e i desideri umani.
L’umanità nel suo complesso vive un’epoca di prosperità senza confronti alimentata in parte da rivoluzioni nella conoscenza, nella scienza e nella tecnologia, in particolare nella tecnologia dell’informazione.
Questa prosperità ha cambiato la vita di molti, ma miliardi di persone sono ancora afflitte dalla povertà, dalla fame e dalle malattie.
Nell’ultimo decennio, poi, le forze combinate di diverse gravi crisi e, ora, la grave pandemia che ha colpito l’intero pianeta e la guerra che imperversa vicino a noi, hanno portato ancora più miseria e frustrazione ai quattro miliardi di persone più povere del mondo.
Una delle caratteristiche più insidiose e distruttive della povertà è il modo in cui attacca, sotto molti aspetti diversi, la felicità e il benessere umani. Ciascun attacco rafforza e amplifica gli altri. Per esempio, i poveri di solito non hanno accesso a una assistenza sanitaria decente; di conseguenza sono affetti da malattie più gravi e dal decorso più lungo.
Non solo questo ne accorcia la vita, ma rende loro molto più difficile frequentare le scuole o lavorare per avere di che sostentarsi, il che, a sua volta, li spinge sempre più nella povertà.
Le trasformazioni economiche che il business sociale contribuisce a mettere in moto daranno all’umanità, per la prima volta, la possibilità di creare un mondo senza povertà.
La povertà non è creata dai poveri. La povertà è imposta artificialmente a persone dotate dello stesso potenziale illimitato di creatività ed energia che possiede qualsiasi essere umano in qualunque condizione di vita, in qualunque parte del mondo.
Eliminare la povertà significa rimuovere le barriere che impediscono ai poveri di liberare la propria creatività per risolvere i propri problemi.
Possono cambiare la loro vita, se solo diamo loro le stesse possibilità che ha il resto di noi.
Nuove attività, progettate creativamente in tutti i settori, possono far sì che accada nel modo più veloce possibile. La povertà non è degna di una società civile.
La generazione che sta crescendo ha il potere di garantire che la povertà venga eliminata da questo pianeta. Abbiamo superato la schiavitù, abbiamo superato l’apartheid, abbiamo portato esseri umani sulla luna; tutti traguardi un tempo considerati impossibili. Possiamo vincere anche la povertà, se solo decidiamo che la povertà non ha posto nel futuro che vogliamo creare. Sta a noi decidere che il mondo in cui scegliamo di vivere non contenga la piaga della povertà e poi creare il nuovo sistema economico che renda possibile il mondo che scegliamo.
Alcune ricerche dicono che la disoccupazione giovanile non è un problema temporaneo. I giovani che passano molti anni senza lavoro, o che hanno lavori sottopagati senza prospettive di crescita, ne subiscono le conseguenze per tutta la vita.
Non importa quanto duramente lavorino: è improbabile che riescano a raggiungere la corsia rapida che porta a lavori ben pagati, garantisce la sicurezza per tutta la vita e crea opportunità per la generazione successiva.
Abbiamo la tecnologia e la metodologia economica necessarie per mettere fine alla piaga della disoccupazione. Quello che ci manca è un quadro generale e la volontà.
Uno dei miti che alimentano il problema della disoccupazione è l’idea che ci siano persone incapaci di produrre valore economico.
Queste persone si suppone abbiano difetti o mancanze che le rendono inutili e meritevoli di essere scartate come spazzatura. Il mito dice che sono adatte solo a ricevere assistenza caritatevole o sussidi governativi.
Ci sono persone che hanno bisogno di aiuto per superare le barriere che rendono loro più difficile svolgere un lavoro proficuo. Alcune hanno disabilità fisiche o psicologiche che necessitano di sostegno, per esempio utensili o macchine speciali, adatti alle loro condizioni, oppure orari di lavoro modificati in funzione delle loro esigenze. Ci sono lavoratori le cui mansioni sono state eliminate in conseguenza dell’automazione e richiedono formazione per sviluppare nuove competenze. Non si sarebbe mai dovuto permettere che problemi come questi creassero una classe ampia e permanente di disoccupati come quella che vediamo oggi nella maggior parte dei paesi.
La realtà è che quasi tutti gli esseri umani sono perfettamente in grado di svolgere un lavoro proficuo che apporti valore alla società e al contempo consenta loro di procurare il sostentamento a sé stessi e alle proprie famiglie, specialmente quando sono esonerati dalla richiesta di generare profitti sempre crescenti per il titolare di un’azienda
LA TRANSIZIONE ENERGETICA
Autonomia, adattabilità, efficienza, implementazione della migliore tecnologia per migliorare la qualità della vita sono alcuni dei principi che guidano il programma.
Il tema del fabbisogno energetico è sicuramente uno degli elementi cardine del programma. La gestione comunitaria della risorsa energetica locale riduce le distanze tra produzione e consumo, promuove l’autoconsumo e/o lo scambio interno di energia prodotta in loco a partire da fonti rinnovabili, promuove lo sviluppo di comunità energetiche. Partire dal locale, dalla decentralizzazione per rafforzare il senso di responsabilità del singolo cittadino e aumentarne l’autonomia economica, sociale e tecnologica sono alcuni degli obiettivi del nostro programma, che evidenzia l’urgenza di un cambiamento delle abitudini di consumo individuali e collettive, di un nuovo stile di vita, dietro cui si celano sfide e opportunità per la costruzione di una società ecosostenibile rispettosa dell’ambiente e dei diritti all’autodeterminazione dell’uomo.
La crisi sanitaria ed economica legata alla pandemia e alla guerra in Ucraina ne evidenzia ancor più l’urgenza e pone con più forza il tema della transizione energetica.
La transizione energetica, intesa come costruzione di un nuovo modello di organizzazione sociale basato su produzione e consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili, è necessaria e urgente. Perché sia effettiva, devono essere innescati cambiamenti culturali, materiali e immateriali, basati sul risparmio energetico e l’efficienza dei consumi. In un tale scenario, l’attivazione di nuove forme di azione collettiva e di economie collaborative (in cui produzione e consumo danno vita a nuovi sistemi di scambio), unite alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, costituiscono i punti cardine della transizione energetica, oltre a rappresentare un’opportunità per la creazione di nuovi modelli di green economy.
Se la transizione energetica è necessaria in termini di sostenibilità ambientale, essa non potrà pienamente realizzarsi senza una gestione congiunta di problemi ambientali, sociali ed economici che utilizzi un approccio co-evolutivo e interattivo, data l’inseparabilità e l’influenza reciproca del cambiamento sociale e tecnologico. Una transizione energetica richiede cambiamenti culturali, materiali e immateriali, basati sul risparmio energetico e l’efficienza dei consumi.
Si pone dunque un importante quesito che ci riguarda da vicino, avendo al centro delle nostre discussioni e azioni il concetto di comunità. Come possiamo ripensare oggi l’essere in comune? Come vivere insieme?
Il quesito è una provocazione per riflettere sulle possibilità di convivenza con l’altro e con l’ambiente, sulla complessità del “vivere con” in un mondo sempre più complesso e interconnesso. Riconoscersi in una comunità è il primo passo da compiere in direzione di un’etica di coabitazione pacifica con gli uomini e l’ambiente.
LA SCUOLA
I bambini sono meravigliosi fino a sei anni, poi cominciano ad andare a scuola.
La scuola moderna tenta, in modo maldestro, di cogliere i cambiamenti in atto, ma, in fondo, ne è incapace. Occorrerebbe un cambiamento radicale, una diversa pedagogia, la capacità di ascoltare e far emergere i talenti dei giovani studenti.
La modernità ha trasformato la scuola in un patetico sistema nozionistico sempre più basato sull’apprendimento attraverso il web.
Oggi anche la scuola è mercificata e il docente spesso, non è più un educatore, un “Socrate delle anime” ma solo un produttore di voti e di rendimento scolastico. Anche questo è l’effetto di una coscienza sociale distorta!
Uno dei problemi centrali del sistema economico attuale sono i postulati e gli atteggiamenti che instilliamo nei giovani negli anni della loro formazione. La scuola non insegna per nulla alla ricerca, ad utilizzare il ragionamento. È sempre più spesso una cinghia di trasmissione del “sistema”. Educhiamo i nostri figli in modo che credano che la loro vita debba essere piena di sacrifici, come se dovessero scontare una sorta di peccato originale, li convinciamo che la loro vita inizi con un posto di lavoro. Niente posto di lavoro, niente vita – il messaggio arriva forte e chiaro da ogni direzione, casa, scuola, media, dibattiti politici, ovunque.
Una volta adulti, ci si offre all’esame del mercato del lavoro. Un posto di lavoro dipendente è il tuo destino. Se non lo trovi, finisci in coda alla mensa dei poveri. Nessuno dice ai giovani che per loro natura sarebbero destinati a diventare imprenditori, anziché aspettare in fila che qualcuno li assuma.
Un altro insegnamento che i nostri giovani ricevono da bambini è che il fine fondamentale del lavoro è generare reddito e ricchezza personali. Insegniamo loro che tutte le altre motivazioni, fra cui anche desideri altruistici come la spinta ad aiutare gli altri e a rendere migliore questo mondo, sono di importanza secondaria e sono da perseguire solo nel “tempo libero” o come una forma di “rimborso”. Sulla base di questi postulati, i giovani sono incanalati lungo percorsi angusti, che limitano le loro aree di attivismo e di realizzazione. Percorsi che tagliano loro le ali. Ed è così che si accontentano di piccole cose e si dimenticano della loro capacità innata di inseguire sogni globali e trasformarli in realtà. Se vogliamo creare una nuova civiltà che riconosca, onori e attivi la gamma più ampia di desideri e abilità umani, dobbiamo modificare il sistema dell’istruzione e le ipotesi che ne stanno al fondo.
Nell’ambito del nostro programma ci vogliamo occupare del percorso scolastico fino al termine della scuola superiore con una particolare attenzione alla formazione professionale indispensabile per salvaguardare cultura e conoscenze insite nelle professioni artigianali favorendo tutte quelle iniziative che si propongano di sviluppare i talenti dei bambini.
L’obiettivo è creare una piattaforma dove innovazione, imprenditoria e formazione convivono e si contaminano l’una con l’altra.
Una piattaforma che supporti la creazione di nuovi modelli d’impresa e la trasformazione ed educazione dei giovani e delle aziende in un’ottica digitale.
Vogliamo promuovere un modello che unisce investimenti, consulenza per le imprese e programmi di formazione aumentati al digitale in un unico luogo facendo in modo che Aviano divenga un Comune modello per una nuova rete di comuni innovativi in Italia.
Aviano, comune multilingue e multirazziale deve attrezzarsi anche attraverso la scuola. Il Comune sarà parte attiva per promuovere l’inserimento dell’Inglese come seconda lingua in tutte le scuole di ogni ordine e grado del Comune.
Proporremo un tavolo di lavoro al Comando della Base per ottenere una fattiva collaborazione nell’insegnamento della lingua con insegnanti di madre lingua e una digitalizzazione della didattica.
Meno libri più tablet. Anche se non rientra nei compiti del Comune ci faremo promotori di una trasformazione digitale dell’insegnamento. Anziché portare sulle spalle uno zaino con 20 kg di libri e quaderni, dobbiamo promuovere l’informatizzazione di tutte le scuole dotando tutte le aule di schermi idonei e ogni studente di un tablet.
La nostra missione sarà guidare la trasformazione digitale della scuola per produrre cultura attraverso nuovi modelli educativi e di business perché crediamo che le nuove tecnologie debbano essere utilizzate con consapevolezza disegnandole attorno all’uomo per essere in grado di rispondere ai suoi bisogni e soddisfare le nuove necessità che si stanno delineando.
L’ARTIGIANATO
Nella struttura sociale-produttiva del Comune dobbiamo salvaguardare soprattutto la figura dell’artigiano: una “specie in estinzione”. Da sempre, nella storia, l’artigiano o l’artista godeva di uno status garantito nella forma di un contratto vitalizio, veniva educato fin dall’infanzia, seguiva naturalmente la vocazione, era membro di una corporazione e le corporazioni erano riconosciute e protette.
L’artista era anche tutelato dai rischi della competizione e della concorrenza.
Non si tratta di mero corporativismo fine a sé stesso, si tratta di garantire la sacralità del mestiere, di ogni arte, poiché lasciare che un incompetente svolga un lavoro significa alterare l’ordine cosmico oltre quello sociale. Eliminando quello che potremo definire l’aspetto spirituale del lavoro, esso non può che degenerare in meccanicismo e alienazione.
Ogni mestiere nella cultura antica era frutto di una “iniziazione” interiore, non qualcosa che si poteva acquisire semplicemente con dei corsi o dei master. Il Maestro della coltivazione, dell’artigianato o dell’architettura trasferiva al suo discepolo non solo conoscenze pratiche, ma anche lo “stato di coscienza” necessario affinché il “sacro” potesse manifestarsi nell’opera. È così che nell’Occidente abbiamo avuto le cattedrali e il rinascimento ed è a causa della perdita di questa “iniziazione” che oggi l’arte è diventata un inutile gioco individuale o un business.
Ogni cantiere medievale era diretto da un Maestro, il quale “arrivava alla suprema carica grazie all’esperienza acquisita per gradi e alle capacità che gli avevano consentito il passaggio da un grado all’altro”.
Le cattedrali sono libri esoterici, libri di pietra che contengono un sapere legato all’astrologia, all’alchimia, ma tutto questo meriterebbe uno studio a parte.
Oggi dobbiamo preoccuparci che non scompaiano gli ultimi depositari di una conoscenza millenaria: gli artigiani.
Il fabbro, il falegname, il calzolaio, il casaro, … Per farlo dobbiamo sviluppare un circuito che ne legittimi la presenza e ne garantisca il sostegno economico.
Anche questo è l’Aviano Futura. All’interno della cittadella devono trovare spazio tutte le principali figure artigianali sia per produrre che per tramandare la propria esperienza, ed ecco quindi che vogliamo promuovere una nuova scuola. Una scuola esperienziale e inclusiva, che accompagna l’allievo in un vero percorso di scuola-lavoro per fare in modo che alla fine del percorso possa realizzare il proprio progetto imprenditoriale.
Moderni laboratori artigianali devono essere creati per tramandare antiche sapienze.
TELEMEDICINA E TELEASSISTENZA
L’evoluzione in atto della dinamica demografica, e la conseguente modificazione dei bisogni di salute della popolazione, con una quota crescente di anziani e patologie croniche, rendono necessario un ridisegno strutturale e organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza.
L’innovazione tecnologica può contribuire a una riorganizzazione della assistenza sanitaria, in particolare sostenendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali innovativi incentrati sul cittadino e facilitando l’accesso alle prestazioni sul territorio nazionale.
Le modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie abilitate dalla telemedicina sono fondamentali in tal senso, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità, un canale di accesso all’alta specializzazione, una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare e un fondamentale ausilio per i servizi di emergenza-urgenza.
Uno dei vantaggi dei nuovi modelli organizzativi basati sulla Telemedicina è rappresentato da una potenziale razionalizzazione dei processi sociosanitari con un possibile impatto sul contenimento della spesa sanitaria, riducendo il costo sociale delle patologie.
Se correttamente utilizzati, i servizi di Telemedicina possono contribuire a una trasformazione del settore sanitario e a un cambiamento sostanziale dei modelli di business che a esso sottendono. Alla luce delle precedenti osservazioni, è chiaro infatti come la disponibilità di servizi di Telemedicina per aree o pazienti disagiati potrebbe permettere anche una diminuzione delle spese, come pure un aumento dell’efficienza del sistema. Inoltre, la Telemedicina può essere di supporto alla dimissione protetta ospedaliera, alla riduzione delle ospedalizzazioni dei malati cronici, al minor ricorso ai ricoveri in casa di cura e di riposo degli anziani, alla riduzione della mobilità dei pazienti alla ricerca di migliori cure.
Per Teleassistenza, si intende un sistema socioassistenziale per la presa in carico della persona anziana o fragile a domicilio, tramite la gestione di allarmi, di attivazione dei servizi di emergenza, di chiamate di “supporto” da parte di un centro servizi. La Teleassistenza ha un contenuto prevalentemente sociale, con confini sfumati verso quello sanitario, con il quale dovrebbe connettersi al fine di garantire la continuità assistenziale.
MIGRAZIONE
Sia l’Italia che i paesi africani hanno conosciuto da vicino i grandi flussi migratori. Quello degli italiani è stato il più grande esodo della storia moderna. A partire dal 1861, dopo l’unità d’Italia, sono state registrate più di 24 milioni di partenze. Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 l’esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell’intero contingente migratorio: il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e il Piemonte. Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania e Sicilia.
Gli italiani sono presenti nella maggior parte dei paesi: al primo posto troviamo l’Argentina con 15 milioni di persone, gli Stati Uniti con 12 milioni, il Brasile con 8 milioni, il Canada con 1 milione, l’Australia con 540.000.
Abbiamo quindi una esperienza particolare in materia che ci permette di poter capire, forse più di altri, cosa rappresenti oggi l’emigrazione per l’Africa.
Perché per governare i flussi migratori dei paesi africani è necessario comprendere le cause che li determinano. A partire da una popolazione in crescita e da processi di sviluppo lunghi e complessi. E senza dimenticare le responsabilità dei paesi occidentali. Naturalmente, le cause delle migrazioni sono molte e molto complesse, ma possiamo provare a individuare tre elementi chiave: demografia, economia e processi di sviluppo.
Oggi la popolazione africana residente nel continente ha superato 1,3 miliardi. Tre volte quella dell’Europa. Nel 2050 secondo le previsioni ONU, sarà più che raddoppiata e sarà circa 5 volte la popolazione europea. La tendenza diventa ancora più significativa se confrontata con la sostanziale stagnazione demografica dell’Europa ferma a 500 milioni di cittadini.
Nonostante la maggior parte dei flussi migratori dai paesi africani riguardi movimenti “intra-africani” è evidente che la crescita della popolazione avrà ripercussioni sui fenomeni migratori. La Nigeria, ad esempio, supererà i 400 milioni di abitanti nel 2050.
Secondo un’opinione molto diffusa, l’aumento degli investimenti e del livello di benessere in Africa dovrebbe comportare automaticamente una riduzione delle migrazioni. In realtà molti studiosi hanno dimostrato come il meccanismo si realizzi solo nel lungo periodo. Nell’immediato, anzi, lo sviluppo agisce addirittura come stimolo alle emigrazioni: aumentando il reddito disponibile, infatti, è più facile sostenere il costo di un investimento così grande come l’emigrazione internazionale. E crescono pure il livello di istruzione, l’accesso alle informazioni e persino le scelte di matrimonio e fertilità, tutti fattori di spinta delle migrazioni.
Va aggiunto che nei primi anni Duemila l’aumento del PIL di vari paesi africani aveva portato molti economisti a parlare di “miracolo africano”, prevedendo una strada simile a quella delle Tigri asiatiche. In realtà, quella crescita si è rivelata molto fragile, troppo legata al prezzo delle materie prime e poi frenata da fattori politici e strutturali. Ciò dovrebbe insegnare che i processi di sviluppo sono molto lunghi e complessi.
“Aiutiamoli a casa loro” dovrebbe dunque essere un auspicio mosso dalla solidarietà tra stati, non dal mero interesse di ridurre gli arrivi. Lo slogan andrebbe poi “riempito” di dettagli che rispondono a quesiti elementari: quanto li vogliamo aiutare? Come? Attraverso che canali?
Sul “quanto”, l’Italia e gli altri paesi occidentali sono ben lontani dall’obiettivo stabilito nel 2000 per gli aiuti pubblici allo sviluppo (0,70 per cento del PIL; l’Italia è allo 0,20 per cento). Considerando che ogni decimo di PIL vale circa 1,7 miliardi, c’è da chiedersi quale governo potrebbe oggi proporre un aumento.
In più andrebbe stabilito il “come”: gli aiuti sarebbero gestiti direttamente dai governi locali, dagli organismi internazionali multilaterali, o dalle tanto vituperate Ong?
Se non rispondiamo a questi interrogativi il dibattito rimarrà fermo a slogan superficiali e non porterà nessun beneficio reale, né in Africa, né nel nostro paese.
A tutto questo si è aggiunta la pandemia. La situazione dei lavoratori migranti in Italia e in Europa è particolarmente delicata. Alcuni studi affermano che più del 40% dei migranti extra Ue sono a rischio disoccupazione. In Italia si stima che ci siano 935 mila lavoratori extra-Ue a rischio disoccupazione a causa della pandemia.
Come si inserisce il nostro programma nel flusso migratorio?
Il nostro è un programma che parte dal basso, che non vuole essere velleitario. Cosa possiamo fare concretamente per creare delle vere sinergie?
Innanzitutto, dobbiamo prendere atto che il nostro paese ha e avrà sempre più bisogno di forza lavoro. Il calo demografico che ci porta verso un paese di vecchi e l’indisponibilità dei giovani a svolgere lavori manuali ci mette nelle condizioni di avere assoluta necessità di nuova forza lavoro. Dobbiamo però creare gli strumenti idonei per gestirla nell’ambito di un progetto specifico.
Anche Aviano ha subito i fenomeni migratori. I flussi migratori non sono più evitabili, ora ci troviamo anche con il flusso dei profughi dall’Ucraina.
Si tratta però di fare in modo che il flusso migratorio sia gestito con intelligenza per fare si che diventi un elemento di maggior ricchezza nel Comune.
Si tratta di fare in modo che tali flussi siano gestiti con una programmazione che eviti situazioni di disagio sociale.
L’ANZIANO
Fino a non molto tempo fa, fino a quando è resistita la famiglia patriarcale, l’anziano era tenuto in grande considerazione e/o temuto. Oggi è sempre più spesso un peso, un fardello da collocare in ambienti “protetti”.
Nella famiglia patriarcale, per dei ruoli consolidati nei millenni, l’età che avanzava era sinonimo di saggezza, rispetto e, perché no, potere (spesso usato anche con poca democrazia), per cui l’anziano si sentiva sempre partecipe. Ora che l’età media si è allungata, l’anziano viene sempre più spesso estromesso di fatto dalla famiglia e collocato in luoghi specifici, le case di riposo, che spesso rappresentano la negazione dell’uomo. Anziché rappresentare un elemento d’unione, un punto di riferimento ed equilibrio, una fonte di conoscenza ed esperienza, l’anziano è un peso.
Secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2050, vi saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65, che oggi sono un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo: 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni saranno ultra-ottantacinquenni.
Va da sé che si pone un grande problema e un nuovo grande mercato: quello dei servizi verso gli anziani e dell’assistenza.
La risposta non può essere la casa di riposo anche se a cinque stelle ma un nuovo concetto di ospitalità che passa anche attraverso l’agricoltura sociale e il cohousing.
IL BAMBINO
Non molto dissimile è anche il ruolo del bambino. Purtroppo, la famiglia unicellulare, la mancanza spesso anche di strutture idonee, il doppio lavoro, fa sì che diventi sempre più complesso accudire un figlio e quindi spesso lo lasciamo, non nelle mani sagge dei nonni, ma in quelle di Facebook, dello smartphone, della televisione, ad apprendere modelli che, anziché costruire un uomo, spesso creano disturbi del comportamento.
Mancano servizi idonei, manca un tessuto sociale che permetta ai giovani di allevare un figlio con quelle attenzioni che sono sempre più importanti.
Mancano soprattutto servizi per l’infanzia: gli asili nido e poi le scuole materne e, via via, le strutture scolastiche che permettano di sviluppare al meglio i talenti dei nostri figli.
Troppo spesso i bambini vengono definiti iperattivi e cadono nelle mani di chi pensa che la soluzione siano gli psicofarmaci.
I bambini rappresentano il nostro futuro: su loro dobbiamo investire ponendo la massima attenzione per permetterne una crescita equilibrata e la scuola deve essere uno dei primi passi perché se non cambiamo la scuola non possiamo pensare di poter creare un mondo migliore basato su un Benessere Equo e Sostenibile.
IL DIVERSAMENTE ABILE
Non parliamo poi di chi è portatore di qualche handicap. Ne abbiamo perfino paura nel pronunciarne la parola tant’è che oggi, si dice “diversamente abile”. Una persona che altera gli equilibri in un modello di società legata ai valori esteriori, all’estetica, all’apparenza.
Mentre in paesi considerati meno evoluti, se una persona ha qualche problema di mente rischia di essere considerata un “santone”, da noi non sappiamo come fare per nasconderlo. Se una persona è costretta alla carrozzina, spesso si trova anche a combattere con le barriere architettoniche. Per non parlare poi di situazioni molto più complesse.
Mentre invece, chi ha avuto meno dalla vita, spesso possiede delle sensibilità e capacità che molti di noi non hanno mai avuto.
Anche qui i dati dovrebbero farci riflettere: come si giustifica che in un paese evoluto come il nostro i disabili aumentino anziché diminuire?
Come si giustifica che un invalido civile al 100% possa percepire una pensione di invalidità quantificata per l’anno 2021 in 287,09 euro al mese per 13 mensilità?
Per fare un confronto è utile riportare quanto guadagnano mensilmente i nostri rappresentanti in Parlamento. €14.634,89 al mese per un senatore e €13.971,35 per un deputato. Ogni commento crediamo sia superfluo.
Il vero problema è l’inclusione, la soluzione non è creare spazi per i disabili o eliminare le barriere architettoniche, ma fare in modo che il disabile sia inserito nel tessuto sociale, che la famiglia sia supportata, che il “dopo di noi” non si concluda in una struttura protetta con i farmaci che ti sedano.
La stretta connessione tra queste tre figure potrà sviluppare delle sinergie e delle opportunità inimmaginabili.
Pensiamo all’anziano ancora attivo che si occupa del bambino con attività extra scolastiche e, nel periodo estivo, trasmettendo ai bambini conoscenze antiche, equilibrio e saggezza, evitando di lasciarli nelle mani dei social network.
Pensiamo al disabile che, anziché sentirsi emarginato, diventa produttivo e integrato in un sistema solidale.
Pensiamo ai più giovani che rappresentano il 100% del nostro futuro.
CONCLUSIONI
Non è facile prevedere il futuro, non abbiamo la sfera magica. Non sappiamo se abbiamo raccolto anche le aspettative di te che hai avuto la pazienza di leggere queste nostre proposte. Abbiamo cercato di riassumere alcune linee di comportamento, proporre alcuni spunti di riflessione per tutti coloro, e sono molti, che amano ancora questo paese e non vogliono che venga completata l’operazione di svendita.
Non ha importanza chi hai votato fino ad oggi: questa volta siamo chiamati a fare una grande opera di cambiamento.
Iniziamo a individuare i punti che ci uniscono, piuttosto che quelli che ci dividono. È vero che la verità è come uno specchio caduto dalle mani di Dio e andato in frantumi, e che ognuno ne raccoglie un frammento sostenendo che lì è racchiusa l’intera verità, ma oggi non è più il momento di dividerci, se non vogliamo che prevalga la restaurazione piuttosto che il rinascimento.
Non siamo contro lo Stato, contro il Governo, contro le multinazionali. Siamo a favore della libertà, dell’autodeterminazione, di un’economia circolare e consapevole, di un’agricoltura sostenibile, del rispetto delle culture e tradizioni locali, della dignità dell’uomo, della salvaguardia della nostra cultura, della nostra storia, delle nostre radici, del rispetto verso gli anziani, i diversamente abili.
Ora è il momento di agire, di dimostrare concretezza, di mettere in atto quello che teorizziamo, di dimostrare che non siamo solo capaci di parlare, ma anche di realizzare.
Citando Paulo Coelho ne il Cammino di Santiago, per molti di noi “la vita comincia a essere un pomeriggio domenicale: non ci chiede grandi cose, né esige più di quanto noi vogliamo dare. Pensiamo allora di essere maturi: accantoniamo le fantasie dell’infanzia, e arriviamo alla nostra realizzazione personale e professionale. Ci sorprendiamo quando qualcuno della nostra età dice che vuole ancora questo o quello dalla vita. Ma in realtà, nel più profondo del nostro cuore, sappiamo che abbiamo semplicemente rinunciato a lottare per i nostri sogni, a combattere il Buon Combattimento”. Molti di noi sono tra quelli, che per molti anni non hanno nemmeno votato convinti che, come diceva Tommasi di Lampedusa nel Gattopardo, tutto cambia affinché tutto rimanga come prima. È pur vero che “quando rinunciamo ai nostri sogni troviamo la pace, abbiamo un breve periodo di tranquillità. Ma i sogni morti iniziano a imputridire dentro di noi infestando tutto l’ambiente in cui viviamo. Cominciamo col divenire crudeli con coloro che ci circondano e finiamo per dirigere questa crudeltà contro noi stessi. Compaiono le malattie, le psicosi. Ciò che volevamo evitare nel combattimento, la delusione e la sconfitta, diviene così l’unico legato della nostra vigliaccheria. E un bel giorno i sogni morti e imputriditi rendono l’aria difficile da respirare, e noi iniziamo a desiderare la morte, una morte che possa liberarci dalle nostre certezze, dalle nostre occupazioni e da quella terribile pace dei pomeriggi domenicali”.
Anche se abbiamo visto i nostri sogni svanire, anche se i nostri desideri hanno subito la frustrazione, anche se siamo convinti che il nostro turno è passato, che dobbiamo dare spazio ad altri, ai giovani, questo è il momento di mettere le nostre esperienze, le nostre conoscenze, le nostre sconfitte, al servizio di chi vuole combattere un “Buon Combattimento” per costruire un nuovo Rinascimento e l’Aviano del futuro.